Pubblicato su politicadomani Num 91 - Maggio 2009

Inserto - Strumenti di urbanistica sostenibile
Riordino fondiario volontario

Invece di lasciare incolti e abbandonati i terreni presenti nelle città in attesa della edificabilità e delle colate di cemento, si potrebbero riordinare in appezzamenti sufficientemente grandi da garantire colture economicamente sostenibili e parchi urbani

di Sergio De Stasio

Prima di entrare nel merito del "riordino fondiario volontario" (RFV), che meglio sarebbe definire "riordino fondiario volontario ed incentivato", bisogna fare una breve premessa sulle politiche urbanistiche attuate in Italia, e soprattutto al meridione.
Nel nostro paese il terreno agrario, specie al sud, è la parte residuale di un territorio su cui si allunga l'ombra degli interessi dei palazzinari e dei "padroni del vapore". Non ci risulta nessun caso in cui, negli aggiornamenti dei piani regolatori urbanistici e territoriali, il terreno agrario sia aumentato o almeno sia rimasto uguale.
Ad esempio, le imprese agricole della provincia di Napoli, hanno in gran parte, solo una presenza anagrafica nel Comune: in realtà la maggior parte di esse opera in provincia di Caserta, di Benevento e anche in provincia di Latina. I pochi terreni rimasti nell'area urbana di Napoli sono in attesa di diventare terreni edificabili anche loro. Inoltre, il mercato fondiario è tutt'altro che libero: tutti i terreni sono già opzionati da chi può permettersi di farlo (leggi "camorra"). Sono terreni quasi sempre in stato d'abbandono colturale, in primo luogo perché poco estesi per cui coltivarli non è economicamente conveniente, e poi perché c'è incertezza negli investimenti. La politica finora attuata e la legislazione nazionale è estremamente carente nei confronti dei terreni agricoli, che sono divisi nella proprietà e nella conduzione e sui quali ci sono spesso interessi differenti. L'unico tentativo fatto dallo stato italiano di attuare una sorta di riordino fondiario (peraltro del tutto abortito) è stata la cosiddetta legge "Sila" e la creazione di una "Cassa per la formazione della proprietà contadina" (attualmente ISMEA) che, con l'eccezione di pochi casi, ha creato clientelismo, ha favorito aziende che sceglievano le monocolture e ha arricchito i professionisti con le giuste "entrature" politiche.
Il RFV vuole essere uno strumento che permetta ai comuni di salvaguardare gli interessi sociali piuttosto che quelli privati.
In pratica si tratta di attuare una banca della terra, in cui i proprietari affidano la loro proprietà, soprattutto se abbandonata, all'amministrazione pubblica (comune, provincia, Ente Parco) in cambio di un affitto, dello sgravio dell'ICI o di altra tassazione, oppure di quant'altro possa incidere sul costo della proprietà. Quest'ultima, attraverso la ricomposizione fondiaria, potrebbe creare appezzamenti di dimensione economicamente valida da assegnare a coltivatori interessati con degli obblighi precisi: garantire, ad esempio, mediante regolamento, la fruizione pubblica dei terreni presi in affido (ovviamente in affitto). I terreni potrebbero essere resi disponibili per passeggiate domenicali; si potrebbero promuovere attività extra agricole (che sono una buona integrazione al reddito); si potrebbero curare produzioni tipiche fortemente regolamentate; oppure aprire uno spaccio vendita comune nel territorio comunale, dato ad aziende affidatarie che attuino prezzi di vendita al pubblico più bassi perché sgravati dalla intermediazione. Opportuno sarebbe imporre agli assegnatari dei terreni un corso di formazione che chiarisca bene quali sono le aspettative dell'Ente, quali gli obblighi che esso s'assume, quali quelli dell'affidatario, e cosi via.
Si pensi un attimo ai terreni presenti a Napoli, ad esempio a Posillipo: essi sono spesso proprietà familiari comuni ed indivise che per la stessa natura proprietaria sono di fatto escluse da investimenti e dal conseguente utilizzo. Oppure sono proprietà di grandi immobiliari - come Pirelli Estate - che certamente non hanno nessun interesse a coltivare; anzi, negli ultimi dieci anni hanno espulso i conduttori che amorevolmente curavano con colture tradizionali e policolturali gli appezzamenti e, soprattutto, curavano il paesaggio.
Esistono poi esempi di coltivazioni "sentimentali", intendendo con ciò quelle che di fatto sono escluse dal mercato, ma che danno al conduttore (e non solo a lui) una soddisfazione di carattere "estetico", e che rischiano di sparire con la morte del conduttore che è spesso proprietario o comproprietario.
Anche i parchi pubblici potrebbero avvalersi del RFV, abbassando i costi di gestione e affidando molte delle opere di manutenzione alle imprese agricole confinanti con essi, là dove fossero presenti. Come accade, ad esempio per ciò che riguarda Napoli, con le aziende limitrofe al bosco di Capodimonte, oppure al Parco Virgiliano. Sempre, però, che esse vengano messe in condizioni di operare.
Altro modo d'integrazione delle aziende urbane e periurbane potrebbe essere quello di essere destinatarie di sostanza organica da lavorare per trasformarla o in biogas e/o in fertilizzanti, senza creare ulteriori passaggi per codesta materia così importante e delicata, ma ufficialmente di poca valenza economica (almeno per Impregilo, che oltre che essere amministrata da banditi è anche consigliata da ignoranti).
Il recupero di sostanza organica è, d'altra parte, l'unica difesa dai danni da siccità - che nelle ultime estati è stata notevole - e l'unica riserva di materiale anti-inquinante per la bonifica dei terreni da restituire alle coltivazioni alimentari.
Vi sono molti modi per invogliare chi possiede i terreni a prendere in considerazione l'ipotesi di affidarli all'amministrazione comunale, ad esempio applicando severamente e serenamente le leggi. In quanto responsabile della salute dei cittadini e della difesa del paesaggio, così come richiede la direttiva comunitaria, il comune può impedire che i terreni trascurati diventino di fatto delle discariche o dei veicoli d'infezione per i terreni coltivi, obbligando chi li possiede a qualunque titolo a tenerli in ordine, anche facendo i necessari lavori in danno al proprietario.

È un suggerimento alle Amministrazioni che, volendolo accogliere, sapranno sgrezzare questa modesta proposta per affinarla come strumento d'intervento.

Il RFV dovrebbe essere lo strumento posto alla base di un futuro piano urbanistico, anche perché così si potrebbero creare parchi urbani senza ricorrere né all'esproprio, né a spese mastodontiche di gestione. Inoltre, una politica di tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico fatta con risparmio di fondi pubblici e senza stravolgere gli assetti proprietari potrebbe trovare il favore di alcune grandi realtà istituzionali come Curie, Regione, Enti di Bonifica, etc.
Purtroppo la protervia amministrativa e di stampo coloniale rappresentata dal Commissariato ai rifiuti per la Campania, con l'appoggio degli ascari locali, ha violentato il primo territorio che in Italia meridionale avrebbe potuto dimostrare la validità del RFV.

1 Certamente Regione e Provincia avrebbero maggiori possibilità di incettivare il RFV, sarebbe interessante se anche esse volessero misurarsi con la cosa, ma dovrebbe essere sempre il Comune e/o l’ente Parco, l'agente primo.

 

 

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Num 91 Maggio 2009 | politicadomani.it